Molte sono state le gioie gastronomiche di questa spedizione nel Cathay – ieri un’altra puntata di strepitosa cucina del luogo insieme a degli amici argentini, i quali, inesperti, sono rimasti entusiasti dell’esperienza – ma da un punto di vista campanilistico, le sensazioni sono stati tutt’altro che gradevoli al palato. Dopo la travagliata esperienza nel round robin, con due squadre cacciate fuori, perentoriamente, dalla fase a KO, ed una terza ammessa per il rotto della cuffia, è poi arrivata l’orrenda prima giornata contro la Norvegia, certo non mitigata dalla sterile rimonta successiva. Rimaneva il transnational: non era poi chiedere troppo l’approdare almeno alla fase a KO, ma anche questo sogno è svanito rapidamente. Gli azzurri, schierati insieme a tre francesi perché, rimasti anch’essi in tre, non avrebbero altrimenti potuto giocare ( i tre assenti erano giustificati, almeno in parte), hanno perso i primi quattro turni, seppure di misura, e nemmeno una sonante vittoria nell’ultimo match è stata sufficiente a riportarli abbastanza in alto. Sono quindi finiti miseramente quarantesimi. Finis Italiae.

Certo, se non era corretto incensare quei sei come i soli, possibili salvatori delle patrie sorti, nemmeno sarebbe però giusto pensarli come dei poveri rinciucchiti ( e rinciuchiti),  cui il fumo delle tante battaglie ha finito per appannare la mente. Diciamo che tutto ha cominciato ad andare storto quando il progetto “Donati”, per varie vicissitudini, è stato abbandonato. Da allora si è pensato ad una squadra in termini di emergenza, ed è stato certo molto sbagliato pensare di porre rimedio a tutto riammettendo Lauria e Versace. Una genesi farraginosa, ha prodotto un risultato in linea. I giocatori di bridge non sono una semplice sommatoria di talenti: ci sono dinamiche personali e psicologiche che vanno gestite, come ben insegnava l’immortale Carl’Alberto Perroux, e certo questo è mancato. Indubbiamente, l’assenza in loco di Maria Teresa Lavazza è stata quanto mai pesante, data la sua capacità di conduzione dei suoi campioni, ed è ovvio che non poteva non pesare la grave indisponibilità di Agustin, ma c’era di più.

Tirem innanz. Sono partite le semifinali, e nell’Open una è già finita, almeno virtualmente: l’Olanda ha riservato alla Norvegia lo stesso trattamento che i nordici avevano affibbiato a noi, e con qualche interesse, perfino, andando a letto a +107, sul 160-53.

Nell’altro incontro USA 1 ha, come di consueto, cominciato malamente, questa volta contro la Polonia, e seppure abbia recuperato ben 2 IMP nel terzo parziale, ha concluso 59-96. Ancora niente, per una squadra capace di rimonte incredibili, che ne hanno fatto il marchio di fabbrica.

Tra le donne situazione simile: la Svezia ha bombardato a tappeto le malcapitate inglesi, seppellendole sotto un enorme 137-43. Le britanniche non sono mai dome, ma è difficile pensare che possano rientrare. In alto, invece, la Cina ha iniziato lento pede contro l’Olanda, perdendo 7-30 le prime sedici mani, ma si è presa poi due consecutive rivincite, e conduce adesso per 81-67 quello che è l’incontro a più basso punteggio dell’intero lotto.

Come già nei quarti di finale, e ancor prima nella fase di qualificazione, è il Senior ad essere la competizione più equilibrata, sebbene i distacchi siano abbastanza significativi sia per l’Olanda, avanti 106-77 sull’Inghilterra, sia, soprattutto, per la Danimarca, capace di un bel 136-80 contro l’India.

Nel misto, infine, molto bene USA 1 contro l’Inghilterra (139-81), e bene la Romania a sfavore della Russia. I rumeni, che schierano diversi tesserati FIGB, conducono 107-71.

再见