Scrivere oggi è difficile. La penna (oh quanto vorrei che si usassero ancora i calamai!) scorre greve sull’intonso foglio (elettronico, ahimè), appesantita dal misero spettacolo offerto ieri dagli azzurri, capaci di perdere la bellezza di ben 171 IMP in quarantotto smazzate, per ritrovarsi dietro di una rotonda, quanto imbarazzante cifra pari a 100 IMP esatti. Ed il verbo “perdere” non è qui utilizzato a caso: i nostri avversari ben poco hanno dovuto fare: sono stati i nostri alfieri, improvvisamente imbrocchiti, a collezionare uno svarione dopo l’altro, iniziando e finendo con una sfilza davvero incredibile di errori. Tanti quanti non ne commettono di solito in un mese (tutti sbagliano, è bene ricordarlo: a bridge non esistono Dei dell’Olimpo i quali mettano sempre e solo, infallantemente, cartellini e carte giuste), nemmeno messi insieme.

Per il momento è inutile interrogarsi sul perché, almeno approfonditamente: un’analisi del genere si potrà forse svolgere solo a mente fredda, e con la serenità data dal distacco emotivo che si genera quando gli eventi si allontanano. Prendiamo per ora atto che, salvo ben improbabili interventi divini nelle prossime quarantotto mani, siamo indirizzati a perdere malamente. Usando l’allegoria di ieri, i vecchi leoni non solo rischiano di rimanere senza pasto, ma anzi di fare loro da spuntino.

Di certo si può ripetere, come fatto fin dall’inizio, che giocare di fatto in quattro, con la stampella di Duboin, e Madala in pessime condizioni fisiche e morali, ha pesato, e molto. Sementa è spesso apparso esausto, e Lorenzo deve pur rendere qualcosa all’anagrafe, in termini di mancata freschezza. Di certo, non si può dire che svestita la pelle del re della foresta abbiamo improvvisamente indossato – redivivi Lucignolo – quella del ciuco.

In ogni caso, “non è finita finché non è finita”: sperare non costa niente.

Guardando in casa altrui, e specialmente in quella di USA 1, arcirivale di tre finali a cavallo degli anni 2000 (2003, 2005 e 2009: vinta la seconda e perse la prima e la terza), si può davvero esclamare che “se Sparta piange, Atene non ride”. Gli alfieri di Nick Nickell, dominatrici del Round Robin, sono anch’essi incappati in una giornata che, seppure non nerissima come la nostra, è stata al minimo plumbea. Appaiati, per loro scelta, all’Inghilterra, hanno subito una severa lezione dagli intraprendenti inglesi, adusi, per tradizione e temperamento, a mollare fendenti a piè fermo. E molti ne hanno mandati a segno, al punto che gli isolani (nessuno dei quali “brexitiano”: tra i giocatori di bridge la popolarità di Boris Johnson è sotto zero) conducono dall’alto di un sontuoso 118-55, punteggio del quale, oltre all’ampiezza del distacco, vale la pena sottolineare un’altra caratteristica: il bassissimo numero di IMP concessi, e per giunta contro una squadra in genere capace di muoverne moltissimi. Una delle caratteristiche di questa formazione USA, però, è quella di essere capace – come innumerevoli volte visto in passato – di rimonte prodigiose.

Negli altri due match cè invece equilibrio, e sempre a favore di chi è stato scelto: la Polonia guida di 10 IMP sulla Cina (93-83) e l’Olanda di 16 IMP sulla Svezia (94-78). Punteggi, come si vede, bassini, tutti al di sotto della fatidica soglia di quei 2 IMP per mano che rappresentano l’eccellenza. Un po’ si è giocato bene, e un po’ hanno collaborato le molte mani abbastanza piatte.

Nella Venice Cup la Cina era nettamente favorita sul Giappone, e ha giustificato immediatamente le previsioni accumulando ben 100 IMP tondi alla fine del secondo tempo. Le avversarie hanno recuperato qualcosina (il punteggio è ora di 143-67 per le padrone di casa), ma è difficile che accada un terremoto.

L’Olanda ha bombardato la Norvegia per 73-3 nel primo tempo, ma le nordiche, lungi dallo smarrirsi, si sono rimboccate le maniche e, vincendo entrambe le frazioni seguenti, sono andate a letto a -38 (86-124). Un vantaggio simile ce l’ha l’Inghilterra sulla Polonia: 116-71. Questo è un dato abbastanza sorprendente, dato che le baltiche erano tra le maggiori favorite del lotto. Infine, USA 1 guida la corsa contro la Svezia per 132-111.

Tra i più anziani, sorprende, e non poco, la gara di testa dell’Olanda sui favoriti di USA 1. Gli orange sono avanti 101-89, e quindi niente è deciso, come aperti sono, più o meno, anche gli altri tre incontri: l’Inghilterra sta vincendo 95-66 sulla Cina, la Danimarca sta superando la Francia 103-80, e infine Cina Taipei sta battendo l’India 94-66.

Il misto – e qui concludo con l’evento principale – vede due lotte a braccio di ferro: la Lettonia sta tenendo testa all’Inghilterra, dalla quale è avanti 108-104, e ancora più serrata è la lotta tra USA 1 e Cina, con gli americani a prevalere di un singolo punticino, 93-92. Più ampio il vantaggio della Russia sulla Francia: 141-106 grazie al comportamento arrembante che avevo facilmente pronosticato, e al quale, al momento, i pacifici transalpini non hanno saputo opporre adeguata resistenza. E larghissimo quello della Romania su una smarrita USA 2: i romeni hanno più che doppiato gli avversari, tenendoli a meno di 1 IMP per mano, e sono avanti 127-63.

Nel mentre accadeva tutto quanto sopra, prendeva il via anche il Transanational, una competizione di grande prestigio che abbiamo vinto due volte: ad Hammamet nel 1997 (proprio in occasione della prima edizione) con la squadra Burgay, e nel 2003 a Montecarlo con la formazione Lavazza. Le nostre squadre Senior e Mista, eliminate, si sono iscritte, ed la momento, dopo cinque incontri, figurano nel lotto delle qualificande per i KO (entrano le prime trentadue, dopo quindici turni di swiss). Qua e là ci sono altri esponenti del bridge italiano, come Irene Baroni, che gioca in un’ottima formazione francese, e Manno e Di Franco, in squadra con due signore coreane. Queste ultime due squadre hanno per ora poca fortuna: settantottesima è Irene, e addirittura centocinquesimi sono i due palermitani, su un totale di centodieci.